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martedì 28 giugno 2011

Sconfiggere la povertà...

Chi ha l'ambizione di voler ridisegnare una società deve cercare almeno di trovare soluzioni che possano risolvere problemi decennali se non addirittura secolari.

Fare in modo che i poveri possano "rientrare" nel gioco e non essere "abbandonati" a se stessi dalla società è sicuramente uno degli obiettivi che ci si deve porre.

Come si può fare per rendere i poveri "meno poveri"?

Teniamo presente che il sentimento di povertà è ben più importante della reale povertà economica.
Molte persone che rientrano nella fascia di povertà oggi, possiedono beni come quelli che aveva la classe media 50 anni fa. E un cittadino medio di oggi, vive molto meglio di un re medioevale pur non avendo forzieri d'oro e castelli.

Il concetto di povertà è relativo al benessere generale. In una situazione di povertà diffusa il cittadino povero condivide la sua situazione e di conseguenza si sente più integrato nella società di un povero che vive dove c'è un benessere diffuso.

Tanto più il reddito di un cittadino povero si distacca dal reddito medio e tanto più si sentirà povero.
Se 99 cittadini guadagnano 1 soldo e un cittadino guadagna 101 soldi, mediamente tutti i cittadini guadagneranno 2 soldi. La distanza del cittadino povero dal cittadino medio (che non esiste in questa situazione) è quindi di 1 soldo.
Viceversa se 10 cittadini guadagnano 1 soldo, 20 guadagnano 5 soldi, 40 cittadini guadagnano 10, 20 guadagnano 50 e gli ultimi 10 guadagnano 100 abbiamo un reddito complessivo di 2510 soldi e un reddito medio di 25,1 soldi. In questa situazione il cittadino povero che guadagna 1 soldo è distante di 24,1 soldi dal reddito medio e quindi si sentirà più povero.

Rispetto alla situazione precedente, il cittadino più ricco ha un reddito che si distacca di 74,9 soldi dal reddito medio mentre il cittadino più ricco della situazione precedente si distaccava dal reddito medio di 99 soldi.

I cittadini ricchi del secondo esempio sono "più poveri" del cittadino ricco del primo esempio, eppure un cittadino povero si sente più povero nel secondo esempio che non nel primo, perché il suo reddito si misura anche con i redditi di tutti gli altri e non solo dei più ricchi.

Si può notare come complessivamene le persone che nel primo esempio guadagnavano meno del reddito medio erano il 99% mentre nel secondo esempio erano il 70%
Nonostante le condizioni di vita generali sono migliorate (più reddito complessivo, minor numero di poveri), la gente si sente più povera nel secondo caso che non nel primo.


Nei costi di un'impresa ci sono i salari dei dipendenti. Se si vuole evitare che questi costi possano essere ridotti attraverso una diminuzione dei dipendenti o attraverso (laddove è possibile) una riduzione del salario è necessario che si attuino delle politiche che facilitino la diminuzione di tutti gli altri tipi di costi che un'azienda può avere. Quindi il costo dell'energia, delle materie prime, dei tassi d'interesse e di tutte le altre possibili componenti dei costi.

Ho già parlato in alte occasioni ( http://nuovadem.blogspot.com/2011/01/la-moneta-drogata-e-la-crisi-mondiale.html ) che anche una diminuzione del salario nominale può essere un vantaggio se in cambio si ottiene maggior potere d'acquisto.

Una società di questo tipo in pratica creerebbe uno spostamento della curva di offerta permettendo alle imprese di produrre maggiore quantità a prezzi più bassi.
Pagare di meno l'energia tra le altre cose produrrebbe un effetto di questo tipo.

Uno dei metodi per affrontare la povertà è quello di attuare delle politiche socialdemocratiche. Il problema della socialdemocrazia è uno stato molto pesante che alla fine tende a deprimere l'economia.
Infatti moltissime socialdemocrazie hanno liberalizzato o si sono totalmente aperte all'economia del libero mercato.

Io sostengo che si possono ottenere gli stessi vantaggi della socialdemocrazia, ma con uno stato minimo e il libero mercato.
Anche nel libro di economia da me citato che ha tra i suoi autori Ben Bernanke, l'attuale presidente della federal reserve, tra le soluzioni individuate per combattere la povertà c'è il trasferimento di reddito.
Ovviamente il problema del trasferimento di reddito è che la gente perderebbe l'incentivo a lavorare sodo se gli venisse concesso del reddito aggiuntivo gratuito.
Ma io sono convinto che la gente preferirebbe pensare che questo reddito aggiuntivo, anche se è un trasferimento di reddito, se l'è guadagnato.
Da qui la mia idea di creare un meccanismo di trasferimento che metta insieme il merito sul lavoro con il merito sociale.
Attraverso la creazione di livelli di merito chi ottiene livelli più elevati ottiene un maggiore trasferimento di reddito.
Per evitare che questo metodo sia "sabotato" è importante che sia applicato a tutti i cittadini indipendentemente dal reddito di partenza.
Anche se può sembrare contraddittorio che un ricco partecipi alla divisione di questo trasferimento di reddito, in realtà quello che conta è il volume di denaro che si riceve e quello che invece si paga con le tasse.

Prendiamo, per esempio, la situazione della divisione del reddito precedente, quello del secondo esempio e per semplicità ipotizziamo che tutti i cittadini abbiano livello di merito 1. Supponiamo che tutti i cittadini paghino una tassa del 30% del loro reddito e sempre per semplicità che tutta la quota sia interamente restituita in trasferimento di reddito.

Questo significa che per ogni livello di merito deve essere restituito un reddito di 7,53 soldi.
Di conseguenza ecco come dopo la distribuzione sarà il reddito:
10 persone avranno un reddito di 8,23 soldi
20 persone avranno un reddito di 11,03 soldi
40 persone avranno un reddito di 14,53 soldi
20 persone avranno un reddito di 42,53 soldi
10 persone avranno un reddito di 77,53 soldi

Rispetto a prima ora le persone più povere distano dal reddito medio per soli 16,87 soldi e possiede 7,23 soldi in più da spendere per vivere.
Come potete notare, tutte le fascie di reddito al di sotto del reddito medio ci guadagnano.
Prima la distanza tra il più ricco e il più povero era di 99 soldi, mentre ora la distanza si è ridotta a 69,3 soldi.

Questo tipo di politica funziona perché collega il guadagno di livelli di merito al rendimento sul lavoro, alla collaborazione con i colleghi (e quindi vengono punite tutte le strategie volte a fare carriera facendo le scarpe ai colleghi...) e alla partecipazione politica e sociale, perché cosa da non dimenticare il mio modello di società si basa sulle assemblee cittadine invece che sui partiti politici e per mantenere viva una società di questo tipo è necessario che i cittadini siano incentivati a partecipare. L'introduzione dei livelli di merito può risolvere molti problemi.

Ovviamente non è la panacea di tutti i mali. Deve essere fatta con criterio per funzionare e deve essere fatto in modo da favorire la produzione e il risparmio.

L'idea di fare politiche "più costose" che verranno bilanciate dal trasferimento di reddito basato sui livelli di merito, toglietevelo dalla testa.
Una vera democrazia può essere longeva e prospera solo se minimizza i costi sociali e quindi abbassa i costi economici e fa diminuire o annulla possibili tensioni sociali.
Fare politiche che alzano i costi di produzione (reddito dei dipendenti escluso) è da irresponsabili e possono portare alla dissoluzione di equilibri democratici importantissimi.

Minimizzare i costi sociali non è un suggerimento, è l'unica cosa. Senza questo importante principio nessun sistema democratico può reggere a lungo. Ed è a causa di politiche che non minimizzano i costi sociali che ogni sistema è destinato a fallire.

Di conseguenza qualsiasi società, e in particolare una società democratica, può sopravvivere se e solo se rispetta il principio di minizzare i costi sociali. Tutte le politiche che minimizzano i costi alla fine convergono verso un sistema democratico.

La povertà, può essere sconfitta, basta la volontà e la ragione.

lunedì 27 giugno 2011

Ancora sul potere d'acquisto...

Nell'articolo precedente ho messo a confronto famiglie e imprese italiane con quelle francesi.

Veniva fuori che una famiglia media francese spendesse in un anno 80 euro in meno rispetto a una famiglia italiana.
Qualcuno potrebbe anche pensare che in fondo 80 euro di differenza non sia poi una gran cifra e che anche la stima degli aumenti dei prezzi dovuti al caro energia potrebbe non essere così grande come si pensa.

Per farvi capire quanto invece sia grande il problema dovrò farvi vedera altre cifre e mettere a confronto il PIL pro capite sia nominale che PPA (parità di potere d'acquisto) tra i due stati.

Purtroppo non riesco a trovare i dati del 1987 dei due paesi che sarebbe stato interessante valutare.

Il PIL pro capite nominale del 2010 è il seguente:
Francia: 41019 dollari (USA)
Italia: 34059 dollari (USA)

Questo significa che il reddito medio pro capite nominale dei francesi è il 20% superiore a quello degli italiani.
Si tratta di una reale differenza di ricchezza?

Il PIL pro capite PPA del 2010 è il seguente:
Francia: 34077 dollari (USA)
Italia: 29392 dollari (USA)

Questo significa che il reddito medio pro capite a parità di potere d'acquisto dei francesi è del 16% superiore a quello degli italiani.
I francesi hanno una ricchezza di 4685 dollari (USA) in più ogni anno, che al tasso di cambio odierno di 1 dollaro = 0,707613926 euro equivale a 3315,17 euro in più ogni anno.

La Francia è probabilmente l'economia europea più fortemente caratterizzata dall'intervento dello Stato e nonostante questo costituisca nella maggioranza dei casi un forte freno è la seconda economia d'Europa dopo la Germania. Bisogna però tenere conto dei fattori produttivi che favoriscono la Germania in questo senso. Per esempio i circa 20 milioni in più di abitanti.

In effetti il PIL nominale pro capite francese è più elevato di quello tedesco anche se a parità di potere d'acquisto i tedeschi tornano in vantaggio con un reddito del 6% più elevato.
L'organizzazione dello stato in Germania è dal punto di vista economico sicuramente più efficiente di quello francese.

Forse è per questo che la Francia dal 2003 è diventato uno stato decentralizzato con 27 regioni.

Le differenze tra Francia e Germania ci fanno capire che non sono solo i costi a determinare una differente crescita, ma anche l'organizzazione dello stato e quanto questo sia pesante sia in termini di tasse che di efficienza.

La pressione fiscale in Francia è uguale a quella italiana e quindi superiore a quella tedesca.
Ma questo permette di confrontare molto più facilmente l'Italia con la Francia.
I due paesi sono simili per tanti versi. Lo stesso tasso di disoccupazione giovanile, la disoccupazione femminile in Francia è più bassa ma attualmente in Italia il tasso di disoccupazione complessivo è più basso. La Francia può contare su due milioni di abitanti in più.

Italia e Francia sono in concorrenza diretta in moltissimi settori ed essendo entrambi i paesi figli dell'organizzazione statale napoleonica, sono molto simili anche in quanto a pesantezza dello stato.

Il tasso di crescita annuale del PIL italiano fino a tutti gli anni 80 però era nettamente superiore al tasso di crescita annuale del PIL francese tanto che poi nel 1991 l'Italia addirittura superò la Francia.
Quindi il divario che si è creato, pur nelle stesse condizioni e considerando che la pressione fiscale francese è stata mediamente più elevata in questi anni a cosa è dovuto?

Prima di tutto l'Italia pagò duramente una speculazione nel 1992 che ci costrinse ad allargare la banda di oscillazione della Lira rispetto al Marco. Ma in quella occasione diversi paesi d'Europa si trovarono più o meno nelle stesse condizioni, la Francia meno dell'Italia. Questo poi ci portò sulla strada dell'Euro e all'impossibilità per l'Italia di ricorrere alla svalutazione monetaria per abbattere il debito e rendere i propri prodotti più competitivi sui mercati esteri.
Una volta che non poteva più svalutare, le imprese italiane dovevano competere direttamente con quelle francesi.

Certo, le imprese francesi hanno i costi dei salari più elevati di quelli italiani, ma anche una produttività per lavoratore nettamente più elevata. E questo perché?
Perché ogni lavoratore francese produce molto di più di un lavoratore italiano? Perché ha le attrezzature necessarie a farlo.
Non è che il lavoratore francese sia più bravo di quello italiano. Ha sempre due gambe, due braccia e un cervello come quello italiano. Ha solo un maggior quantitativo di attrezzature che gli permettono di svolgere il proprio lavoro al meglio e produrre di più.

Ma le attrezzature generalmente consumano energia e quindi il prezzo dell'energia può essere determinante, specialmente se consideriamo piccoli esercizi commerciali.
Facciamo un esempio. Possiamo pensare a un cinema, le cui spese maggiori, tolte quelle che riguardano i diritti dei film, sono proprio per l'energia elettrica. Il profitto di un cinema francese a parità di numero di biglietti venduti l'anno sarà maggiore di quello di un cinema italiano. Solo perché la bolletta costa meno.

Ovviamente la produttività del lavoro non si misura sui piccoli esercizi commerciali ma su tutti gli impieghi. Se i francesi hanno una produttività più elevata rispetto a quella degli italiani è perché mediamente nel lavoro utilizzano maggiori attrezzature rispetto agli italiani. Il loro salario non è più elevato del nostro per altri motivi ma proprio per questo. Più macchinari significa maggiore specializzazione del lavoro e maggiore specializzazione significa più remunerazione.

Ridurre il gap salariale tra italiani e francesi significherebbe fare massicci investimenti e aumentare il livello di specializzazione dei lavoratori italiani. Ma se questo avvenisse i nostri prezzi sarebbero meno competitivi di quelli francesi all'estero, perché a parità di salari i costi energetici sarebbero più alti. Quindi saremmo comunque costretti a guadagnare meno dei francesi anche solo per pareggiare i loro prezzi ed essere altrettanto competitivi. Altrimenti dovremmo accontentarci di restare con questo gap oppure farlo salire ancora di più solo per avere dei prezzi più competitivi rispetto a quelli dei francesi.

Ora appare più chiaro il motivo vero del gap che si è creato tra Francia e Italia dipende dalla politica energetica dei due paesi. Nel 1991 l'Italia ha superato la Francia, ora è decisamente dietro. Perché?
Perché l'Italia chiudendo il discorso del nucleare nel 1987 ha iniziato a pagare le tensioni internazionali e le speculazioni sul prezzo del petrolio e dei combustibili fossili. La necessità di essere "competitivi" sui prezzi piuttosto che sulla qualità ha scoraggiato gli imprenditori e gli industriali ad attuare politiche di innovazione dei macchinari e di formazione di personale specializzato. Le piccole e medie imprese hanno preferito rimanere piccole e medie piuttosto che crescere, perché era l'unico modo per concorrere con francesi e tedeschi.

Oggi arrivano la Cina e l'India e non siamo più competitivi nemmeno sul piano del prezzo.
E tutto questo a causa della politica energetica.

Continuate pure a credere che la colpa dei mali dell'Italia derivino dalla classe politica, che non conta un emerito tubo e che obbedisce alla voce degli oligarchi, ovvero a quei pochi grandi ricchi che fanno parte di quel 10% di famiglie italiane che possiede il 45% della ricchezza del paese.

La politica energetica ha condizionato l'economia italiana e quando avevamo un'opportunità per rimettere le cose a posto l'abbiamo immancabilmente sprecata a causa dei nostri dannatissimi mal di pancia e delle nostre paure.

sabato 25 giugno 2011

Parliamo di economia...

Direttamente dal libro "Principi di Economia" di Robert H. Frank e Ben S. Bernanke (attuale presidente della Federal Reserve) edito da McGraw-Hill nel 2004:

"Principio di scarsità (o principio secondo cui nessun pasto è gratis) benché i nostri bisogni e desideri siano illimitati, le risorse disponibili sono limitate. Pertanto avere una quantità maggiore di qualcosa significa generalmente possedere una quantità minore di qualcos'altro."

A questo principio ne è collegato un altro. Sempre dallo stesso libro:

"Principio costi-benefici un individuo (o un'impresa o una società) dovrebbe intraprendere un'azione se, e solo se, i benefici aggiuntivi sono almeno pari ai costi aggiuntivi a essa associati."

Cominciamo a dire che mentre il secondo principio può essere violato, il primo non c'è alcun modo per violarlo.

Tempo fa qualcuno in una discussione che ebbi su un newsgroup disse che era possibile violare il principio di scarsità perché era possibile con un computer fare infinite copie di file e quindi rendere disponibili per tutti infinite risorse.
Quello che il mio interlocutore non aveva calcolato è che l'energia che stai usando per far funzionare il computer la stai togliendo ad altre cose e che il tempo che impieghi a copiare o usufruire dei file di questo computer non puoi usarlo per fare altre cose.
Di conseguenza non c'è modo di scavalcare il principio di scarsità.

La maggior parte delle persone che parla di economia, senza averla studiata, non riesce ad afferrare la portata del principio di scarsità che invece è enorme.

Dal momento che nessuno di noi, nemmeno Bill Gates dispone di infinite risorse per soddisfare i suoi infiniti desideri, allora è necessario che le persone utilizzino in modo razionale quelle poche risorse che hanno a disposizione.

Il principio dei costi e benefici discende da questo.
Ultimamente sono stato impegnato in una discussione che riguarda il nucleare dove ho posto un problema molto evidente.
Il costo dell'energia prodotta con il nucleare è inferiore al costo dell'energia prodotta con altri tipi di fonti e in particolare con le cosiddette energie rinnovabili.

In Italia noi abbiamo rinunciato al nucleare nel 1987 e confermato questa scelta con l'ultimo referendum. Aver rinunciato al nucleare nel 1987 ha significato costringere la politica energetica del paese ad affidarsi totalmente ai combustibili fossili. Il problema economico, tralasciando quelli di impatto ambientale che producono i combustibili fossili, è che questo tipo di fonte energetica è molto sensibile agli umori del mercato e alle tensioni internazionali.
In Italia abbiamo la bolletta elettrica più cara d'europa e questo oltre che per i mercati anche perché gli incentivi per le fonti rinnovabili vengono caricati sulle tariffe elettriche.

Che cosa vuol dire avere la bolletta elettrica più cara d'Europa (forse secondi solo alla Spagna)? A parità di condizioni una famiglia media francese ogni anno paga 350 euro contro i 430 euro di una famiglia media italiana. Sono 80 euro in più che la famiglia francese può destinare al risparmio e quella italiana no.
Nel lungo periodo più si risparmia e più si guadagna, grazie ai tassi d'interesse compositi.
Se parliamo di imprese, esercizi commerciali e industrie che consumano molta più energia di una famiglia media, per loro il costo della bolletta rispetto ai pari francesi li mette in condizioni di svantaggio sul mercato.

Mentre la famiglia italiana è costretta a destinare 80 euro in più delle sue risorse all'energia elettrica, la famiglia francese può destinare la stessa cifra ad altri beni o servizi oppure al risparmio. Stessa cosa avviene per le imprese, le industrie e gli esercizi commerciali. I soldi che gli imprenditori italiani impiegano per acquistare energia elettrica, i francesi possono destinarli magari per fare delle assunzioni in più nel campo della ricerca e sviluppo.

È evidente che tra l'Italia e la Francia si crea un gap di produzione enorme, proprio perché l'Italia, per via del principio di scarsità deve destinare più risorse all'energia e rinunciare quindi ad avere altri tipi di risorse.
Ma il costo dell'energia elettrica si riflette su tutto quello che con il suo utilizzo viene prodotto.
Chi paga questa bolletta? Gli industriali con il loro buon cuore? Gli imprenditori? I commercianti?
Forse in parte, ma l'aumento dei costi energetici fa sì che anche i prodotti e i servizi finali siano più cari oppure che i salari siano più bassi o il numero dei lavoratori sia inferiore.

Infatti ci sono ben pochi modi di compensare un aumento dei costi. O si riduce il costo di qualcos'altro oppure si aumenta il prezzo finale del prodotto. Se non si possono ridurre gli stipendi oppure non è possibile licenziare dipendenti, si deve necessariamente alzare il prezzo del prodotto.

Licenziare dipendenti fa sì diminuire i costi di produzione, ma abbassa anche il livello di produzione.
Quindi se dovessimo considerare un effetto di lungo periodo spalmato in modo equo sul lavoro avremmo che a parità di condizioni:

1) Una riduzione degli stipendi con l'ingresso nel settore di lavoratori precari al posto di personale con contratto a tempo indeterminato.
2) Una riduzione del numero dei lavoratori, forse compensato da un aumento degli straordinari.
3) Una minore produzione di beni e servizi.
4) Un prezzo maggiore dei beni e dei servizi.

Il tutto si può ridurre in un concetto unico: un aumento del prezzo dell'energia elettrica determina una diminuzione del potere d'acquisto dei cittadini.

Dicevo... in una discussione che ho avuto sul nucleare in un altro blog mi si è accusato di non aver portato dati. Accusa ovviamente infondata perché l'economia non funziona solo su "dati grezzi" o "dati aggregati" ma anche su principi la cui conoscenza ti permette di fare delle previsioni indipendentemente dai dati di partenza. L'unica cosa che uno deve fare è rispondere alla domanda: cosa succede se aumenta il costo degli imput?

Conoscendo l'elasticità del prezzo alla domanda dell'energia (ed è anaelastica) sappiamo già che un'aumento del costo dell'energia non produrrà un calo della domanda di energia significativo (perché l'energia elettrica non ha molti beni sostitutivi) e che quindi la spesa complessiva sarà maggiore. È possibile che la gente adotti degli stili di vita che permetta loro di risparmiare, come passare lunghe giornate in centri commerciali dove può magari usufruire dell'aria condizionata e risparmiare quindi sulla bolletta di casa, ma generalmente la risposta della curva di domanda dell'energia è anaelastica e la gente cambierà di poco il proprio fabbisogno.

A chiunque mi accusi di non portare dati non posso far altro che invitarlo a studiare un buon libro di economia e dopo magari ne riparleremo.

lunedì 20 giugno 2011

Il cambiamento.

Sapete quando avete quella sensazione che sia arrivato il momento giusto, ma si è in ritardo e si rischia che il treno del destino possa chiudervi le porte in faccia?

Ecco, questa è la mia situazione. La colpa è essenzialmente mia, perché mi faccio distrarre sia da problemi personali veri e sia da svaghi e divertimenti di varia natura.
Mi giustifico dicendo che ogni tanto devo pure staccare la mente e quindi il mio libro è ancora lontano dall'essere finito.

Il problema principale è che ho una valanga di concetti in testa che non riesco spesso a mettere su carta in modo da farmi capire da tutti. Perché questo è il mio obiettivo. Parlare a tutti.
Se avessi voluto parlare solo a una nicchia ristretta, non avrei probabilmente nemmeno scritto un libro perché le mie idee possono funzionare solo se tutti i cittadini possono comprenderle facilmente.

In modo che nessuna macchina della propaganda degli Oligarchi possa impedire a qualsiasi cittadino di leggere e farsi da solo il suo giudizio.

Impresa titanica.

Quali sono i due problemi più importanti dell'economia?

In breve:
1) Il tasso di interesse reale è sovraccarico. Svolge troppi compiti contemporaneamente. Non sto qui a elencarli tutti, gli esperti del settore li sanno, ma tanto per dirne alcune, il tasso d'interesse serve a difendere la moneta dalla speculazione estera, ma anche a difendere gli investitori dall'inflazione, ma anche a creare le condizioni per l'espansione o la depressione dell'economia.

2) I prezzi nel breve periodo sono vischiosi, ma nel lungo periodo si possono considerare flessibili. Questo solo ovviamente a determinate condizioni.

Ebbene io posso risolvere entrambi i problemi. Ho inventato degli automatismi che tendono a rendere flessibili i prezzi anche nel breve periodo (aggiustamenti mensili) e a distaccare il tasso d'interesse reale dal controllo dell'inflazione. L'inflazione si controlla da sola.

Quali sono i problemi sociali più importanti?

1) La disparità sociale. Maggiore è la separazione tra le fascie di reddito alte e le fascie di reddito basse e più aumenta la povertà relativa. Ovvero quel senso di povertà che deriva dal confrontarsi direttamente con il reddito degli altri.

2) La mancanza di un sistema di merito che premi i comportamenti virtuosi e penalizzi quelli viziosi.

3) La scala sociale bloccata. Chi nasce povero raramente diventa ricco e molto spesso per chi è povero ci sono molte meno opportunità per chi è ricco di accedere a lavori ad alto reddito e spesso chi riesce a ottenere questa scalata ha dovuto fare enormi sacrifici e molte rinuncie personali.

Posso risolvere anche questi problemi. Una volta che si attua un sistema che premia il merito e facendo in modo che chi merita riceva del reddito aggiuntivo, la scala sociale si rompe perché molte più persone iniziano a ricevere fondi che permettono loro di accedere a opportunità migliori. Per esempio finanziarsi dei corsi professionali o partecipare a master molto costosi.

Quali sono i più importanti problemi politici?

1) C'è di fatto un'oligarchia di poche persone che decidono tutto. Più le elezioni diventano costose e più chi ha i soldi è in grado di determinare chi sarà eletto e il suo programma di governo. Diffidate dalle primarie... chissà perché le vogliono tutti e costano una barca di soldi... continueranno a comandare quelli più ricchi o finanziati dai più ricchi.

2) C'è un sistema giudiziario che fa talmente schifo da essere di fatto anche esso stesso causa di criminalità.

3) Non esite alcuna separazione dei poteri e anzi c'è un'assoluta invadenza di ogni potere negli altri e anche nelle strutture di controllo. Il legislatore dovrebbe essere assolutamente separato dal governo e dalla gestione della giustizia.

Le mie idee scardinano tutto il sistema. Non solo le elezioni politiche sono a costo zero, ma tutti i poteri sono separati e per ogni potere ci sono strutture di controllo elette separatamente.
Il cittadino partecipa attivamente alla vita politica del paese e ottiene più poteri (ma ovviamente anche più responsabilità) di quelle che ha oggi.

Credo che tutto questo sia nei fatti più interessante e importante della fine che farà Berlusconi.
Il problema è che oggi se metti in prima serata "Superquark" contro il "Grande Fratello" ho l'impressione che vincerà il "Grande Fratello". Un nome che non è scelto a caso.

Alla gente interessa veramente di più sapere che fine farà Berlusconi piuttosto che trovare una vera alternativa politica, sociale ed economica al sistema oligarchico di cui Berlusconi e TUTTI i partiti che sono in parlamento o nei consigli regionali, provinciali e comunali fanno parte.

Spero che almeno questa volta, Superquark riesca ad avere la meglio...

sabato 18 giugno 2011

L'italica colla per la poltrona...

In questo paese non ci si dimette mai. Ormai ci siamo talmente abituati che quando qualcuno si dimette il primo commento che ci passa per la testa è: "Ma che è scemo?".

In questo Paese dimettersi è un'anomalia quando in genere negli altri paesi è una prassi.
Basta che dai una poltrona a qualcuno e questo sarà determinato a rimanerci incollato per tutta la durata del mandato.

Se in alcuni momenti, la situazione spinge affinché chi occupa una poltrona dia le dimissioni, state pur sicuri che quella persona farà di tutto per restarci incollato oppure per ottenere qualcosa in cambio.

Vi ricordate Villari che nominato presidente della commissione di vigilanza sulla rai dalla maggioranza di governo e contro il generale parere del suo partito (allora era il PD), non voleva dimettersi nonostante il suo partito glielo chiedesse.
Ok, da una parte aveva anche ragione Villari. In quel posto doveva essere nominato un esponente dell'opposizione e Villari lo era e quindi anche se la sua elezione era stata "accidentale" il suo partito avrebbe potuto comunque accettare la sua nomina.

Il PD non l'ha fatto e per far dimettere Villari si è dovuti ricorrere a un'espediente tecnico perché altrimenti non schiodava dalla poltrona.
Chi si ricorda l'aforisma: "Dio me l'ha data e guai a chi me la tocca!"?

Ora ci risiamo. Lorenzo Bini Smaghi occupa un posto al board della BCE. Ora la sua nomina dovrebbe durare 8 anni e non ci sono regole scritte che prevedono le sue dimissioni. Ma lo prevede la prassi e gli equilibri interni dell'Europa.

Dovendo diventare Mario Draghi il presidente della BCE l'Europa, e in particolare Francia e Germania, si aspettano le dimissioni di Bini Smaghi.

E invece è cominciato un tira e molla che francamente ci sta facendo fare una figura di sterco bovino.
Non ci sono dubbi che Lorenzo Bini Smaghi vuole barattare le sue dimissioni con il posto di governatore della Banca d'Italia, posto al quale il governo ha intenzione di metterci un'altra persona.

Ecco un classico esempio di quando una persona non ha alcun senso dello stato e pensa solo ai suoi interessi personali. Di fronte a scelte di politica internazionale non si può in alcun modo mettere i propri interessi di fronte a quelli dell'Italia.
Già perché Francia e Germania hanno fatto chiaramente capire che se non arriveranno le dimissioni anche l'ascesa di Mario Draghi alla presidenza potrebbe finire in forse.

Se questa gente lavorasse per l'Italia con lo stesso impegno che ci mettono per resistere a tutti i costi sulle stramaledette poltrone, forse i problemi dell'Italia li avremmo risolti già da un pezzo.

Caro Lorenzo Bini Smaghi... se per sbaglio le capitasse di leggere questo mio "sfogo" personale, spero che prenda la decisione giusta per l'Italia mettendo i suoi interessi dopo quelli della nazione.

giovedì 16 giugno 2011

Ministro Brunetta...

Non si preoccupi, io non la insulterò. Così non potrà fare la "vittima".

Evidentemente io e lei abbiamo una concezione della democrazia completamente differente.
La parola "Ministro" deriva dal latino Minister che significa "servitore".

E non si è mai visto che un "servitore" possa comportarsi in modo arrogante. Se io fossi un suo servitore e le dicessi che per me lei è una rappresentazione della "peggiore Italia" lei mi licenzierebbe.

Ebbene si ricordi che lei è un "servitore" del popolo italiano e di nessun altro. Non è "servitore" nemmeno del Presidente della Repubblica che l'ha nominata e nemmeno del Presidente del Consiglio che l'ha consigliata per quel posto.

In Italia la sovranità appartiene al popolo, come sancisce l'articolo 1 della costituzione.
Quindi lei come "servitore" ha il dovere di ascoltare il popolo italiano anche quando non le va o non le fa piacere.
Lei non può scegliere il popolo da "servire" perché il popolo è uno.

Per farle capire cos'è la democrazia, lei è come se fosse un cameriere, il presidente del consiglio è come se fosse il caposala e il presidente della repubblica il direttore di un ristorante in cui i cittadini sono i proprietari e i clienti.

Lei ha il dovere di servire tutti i tavoli e tutti i clienti. Non può scegliersi i clienti da servire e non può andarsene via se i clienti si lamentano perché ci sono capelli nel piatto.
Suo dovere è stare lì e ascoltare.

Può anche decidere che il ruolo di cameriere non le si addice perché non le va di servire "il popolo" e quindi di "ascoltarlo" quando desidererebbe fare altro. Nessuno la obbliga a stare su quella poltrona.
Ci sono tanti mestieri che si possono fare. Per esempio nel ristorante Italia, qualcuno che scarichi le cassette della frutta e le metta in magazzino ci serve. Se non le va di "ascoltare" il popolo può sempre scaricare le cassette di frutta.

E non dica che la sto insultando, perché se non erro questo è un suo consiglio. Dovrebbe ascoltarsi di più, ministro Brunetta.

mercoledì 15 giugno 2011

Sveglia al collo...

"Oh Bingo, bango, bongo stare bene sopra al congo, non mi muovo no, no! Oh Bingo, Bango, Bengo tante scuse ma non vengo io rimango qui. No buono scarpe strette, sigarette, treni e taxì ma con questa sveglia al collo... star bene qui!"

Così recitava una vecchia canzone cantata da De Sica....

Manovra fiscale --> ti taglio l'IRPEF e ti alzo l'IVA...

Ma davvero qualcuno pensa che noi cittadini abbiamo la sveglia al collo? O ci facciamo prendere il culo dagli specchietti luccicanti?

Ok, tagli l'aliquota dal 23% al 20% e questo vuol dire che ho da un minimo di 0 euro a un massimo di
450 euro in più da spendere l'anno, quindi da 0 a 37,5 euro in più da spendere al mese.
Ok, anche le piccole cifre sembrano niente ma pesano in economia specie se il volume complessivo degli acquisti è elevato.
In realtà bisogna considerare che i cittadini difficilmente spenderanno tutti i soldi in nuovi acquisti. Supponiamo che ne mettano da parte il 20% e quindi ogni mese spenderanno da 0 a 30 euro.

Ora però aumentando le tariffe dell'IVA dal 10% all'11% e dal 20% al 21% di fatto si gonfiano i prezzi e generalmente tende a far scendere i consumi anche se di poco. L'effetto complessivo però si traduce in un aumento d'inflazione e pertanto diminuisce il potere d'acquisto dei cittadini specie perché aumenta il prezzo della benzina e di conseguenza tutti i trasporti delle merci e quindi delle merci stesse.

Di quei 37,5 euro in più al mese dei quali ne consumerò soltanto 30, quanto verrà eroso dall'inflazione?
Bisogna stare attenti perché il rischio di manovre come queste che tendono a produrre PIL innescando l'inflazione come avveniva con la svalutazione è che poi provocano una risposta dura della BCE che potrebbe alzare i tassi d'interesse vanificando ogni effetto positivo.

Vale la pena fare una manovra che il cittadino percepirà già dall'inizio come un imbroglio e che non porterà alcun consenso?
Perché un conto sono i conti e un conto è il consenso.
Al cittadino se gli dici che gli tagli l'IRPEF e gli aumenti l'IVA gli viene da ridere, lo percepisce come un imbroglio.

Si ha l'impressione che con una mano ti danno i soldi e con l'altra se li riprendono. Non porterà alcun consenso.

Non è il momento di fare manovre fiscali questo. Tremonti lo sa bene. Quindi Berlusconi e Bossi farebbero bene a non rompergli l'anima perché non otterranno nessun consenso da tutto ciò.

lunedì 13 giugno 2011

Referendum...

Non ho problemi ad ammetterlo. In questi referendum chi esce sconfitto è il sottoscritto. Non è stato un voto contro Berlusconi, è stato un voto contro di me e le persone come me che hanno un reddito basso.

La strada per l’inferno è spesso lastricata di buone intenzioni. Questo per dire che spesso le apparenze ingannano.

Cominciamo dai referendum sull’acqua. Qualcuno di voi penserà di aver votato contro la privatizzazione dell’acqua e invece avete semplicemente abolito una norma che stabiliva l’obbligo di privatizzare il 40% della gestione dei servizi pubblici entro l’anno. Quindi non avete impedito la privatizzazione della gestione dei servizi pubblici ma solo la norma che stabiliva l’obbligo. La gestione dell’acqua potrà essere benissimo privatizzata come accadeva già prima della norma.

I referendum infatti sono Abrogativi. Cancellano delle norme. Una volta cancellata una norma restano valide le norme precedenti. E anche in precedenza si poteva privatizzare la gestione dei servizi.

Con il referendum sulla tariffa del servizio idrico in realtà si crea un vuoto legislativo che dovrà essere colmato con una nuova legge. Pertanto per prendere per il culo gli italiani invece del 7% magari metteranno al 6,9%....

E passiamo alla nota per me più dolente. Il referendum sul nucleare è una grave sconfitta della ragione a scapito dell’emotività.

Una centrale nucleare di III generazione avanzata può produrre 1600 MW a un costo di 5,2 miliardi di euro (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Reattore_nucleare_di_III_generazione )

Inutile parlare di quali vantaggi potevano arrivare dagli impianti di IV generazione.

Se si escludono gli impianti a combustibili fossili, nessun impianto elettrico è in grado di garantire le prestazioni di una centrale nucleare.

La più economica centrale tra le “energie rinnovabili” è la Gemasolar costruita in Spagna. Si tratta di un impianto a solare termodinamico (non fotoelettrico). Un impianto che occupa 185 ettari e che produce quasi 20 MW di energia anche di notte (19,9 MW dichiarati) e che può garantire quindi un tempo di utilizzo di circa 270 giorni all’anno pari a 3 volte quelle dei normali impianti solari fotovoltaici. Il suo costo è dichiarato in 291.132.258 euro.

Siccome la matematica non è un’opinione basta osservare che ci vogliono almeno 80 di queste centrali per avere l’equivalente di una centrale nucleare (1600 MW/ 20MW = 80).

Il problema è che con 80 di queste centrali il costo di realizzazione è di oltre 23 miliardi. Ci realizzi 4 centrali atomiche e ti avanzano soldi.

Ma non è tutto. Con 20 MW di potenza nei 270 giorni di funzionamento stabilito (95 giorni senza energia?) eroghi circa 129,6 GW di potenza (ne vengono dichiarati 110). Se noi dividiamo il costo della centrale per ogni Chilowatt erogato in un anno (nell’ipotesi dei 129,6 GW) abbiamo un costo di 2,25 euro/kW.

Con una centrale nucleare di III generazione avanzata in un anno si producono 14.016 GW di energia. Dividendo il costo della centrale per ogni chilowatt erogato in un anno abbiamo un costo di 0,371 euro/kW.

Numeri impietosi dal punto di vista matematico. È evidente che il costo dell’energia di un impianto a “energia rinnovabile” è notevolmente più caro di quello di una centrale nucleare di III generazione avanzata anche nell’ipotesi in cui si mettono a confronto la più costosa tra le centrali nucleari con la più economica delle centrali a energia rinnovabile.

Cosa comporta un costo dell’energia più elevato? Vuol dire che imprese, industriali e commercianti ricaricheranno il costo dell’aumento della bolletta direttamente sul prezzo dei loro prodotti e servizi e quindi saranno i cittadini con i loro acquisti a pagare questo rincaro. Così come i cittadini stessi pagheranno il costo aumentato della loro bolletta elettrica. Questo si traduce in una perdita di potere d’acquisto.

Ecco cosa avete votato con il referendum sul nucleare. Avete votato per avere una perdita di potere d’acquisto. Quindi avete votato per essere più poveri.

Ma tutto questo ha un compenso?

Si azzera il rischio di un incidente nucleare. Però è come la storia dell’aereo e dell’automobile. Molta gente ha paura di prendere l’aereo anche quando le statistiche dicono che è il mezzo più sicuro. Il numero dei morti per incidenti aerei è di gran lunga inferiore ai morti per incidenti di automobili. E lo stesso si può dire anche per quanto riguarda il nucleare rispetto a moltissimi altri tipi di impianti.

L’unico esempio di incidente “esplosivo” è stato Chernobyl. Un incidente che per tutta una serie di ragioni non può assolutamente ripetersi in una centrale di III generazione. Perché ci sono controlli automatici, informatizzazione e il rischio di “errore umano” è ridotto a zero.
Fukushima ha dimostrato che in caso di gravissimo incidente è possibile evacuare la zona e impedire quindi che la gente venga colpita dalle radiazioni. A Fukushima parliamo di centrali di II generazione. Per tutta una serie di motivi anche questo tipo di incidente è altamente improbabile in una centrale atomica di III generazione perché ci sono 4 sistemi autonomi di raffreddamento che sono separati ed è altamente improbabile che tutti e 4 possano danneggiarsi contemporaneamente.

 Però come per gli aerei, gli incidenti nucleari fanno più scalpore e sono più temuti.

Il numero dei morti da centrali nucleari nel mondo, anche prendendo le cifre più pessimistiche degli antinuclearisti convinti sono ben misera cosa a confronto con i morti causati dalla “Povertà” e dalla “Fame”.

Rendere più cara la bolletta elettrica ci porta sempre più vicini alla soglia di “Povertà”.

L’utilizzo di centrali solari che occupano 185 ettari (e di tutte quelle analoghe) di terreno inoltre tolgono sempre più terreno alle coltivazioni per il cibo.
Non fatevi ingannare da chi dice che si possono occupare foraggiere o terreni incolti. Il problema dello spazio esiste anche per quanto riguarda le abitazioni. Prima o poi se non sono le centrali elettriche ad ampio utilizzo di territorio, come le centrali solari o quelle eoliche, saranno le abitazioni e gli impianti industriali a togliere terreno coltivabile.

Questo vuol dire però che il costo degli alimenti diventa sempre più elevato. Specie se si utilizzano degli alimenti per fare energia. Un costo elevato degli alimenti si traduce in una maggiore “Fame” nel mondo.

Povertà e Fame. È esattamente per questo che si è votato dicendo no alle centrali nucleari. Che vi possa piacere oppure no. Questione di matematica. E la matematica non è un’opinione.

L’ultimo referendum è quello sul legittimo impedimento. L’unico referendum serio che valeva la pena fare.

mercoledì 1 giugno 2011

Si voterà per il nucleare... finirà male...

Si voterà per il nucleare. La gente sarà bombardata con messaggi di puro terrorismo a mille. Fukushima e Chernobyl a tutto spiano. Si punterà fortissimamente sull'emotività.

Le conoscenze medie degli italiani sul funzionamento delle centrali nucleari e sui livelli di sicurezza si aggirano intorno allo 0,5% del necessario per decidere. Ma non importa. Gli italiani dovranno decidere lo stesso. Vincerà la paura. Vinceranno i demagoghi e perderà la ragione e l'Italia.

Stiamo per fare un passo verso l'ignoto.

Dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 perché l'Italia a differenza degli Stati Uniti ha firmato gli accordi di Kyoto. Questo significa dover rinunciare all'unica altra fonte di energia che sia continua e ad alta densità rispetto alla superficie occupata: i combustibili fossili.

Vinceranno le energie rinnovabili? Non lo so! So che riusciremo soltanto a contribuire a far aumentare la fame nel mondo. Riempiremo il territorio italiano di pale eoliche, pannelli solari e coltivazioni per biomasse e non potremmo usare quella terra per coltivare prodotti alimentari o per i pascoli. Dovremmo comprare prodotti alimentari dall'estero. Se vi capitano i citrioli spagnoli, non lamentatevi... fa parte del rischio.

Devasteremo il territorio e le nostre coste (impianti per lo sfruttamento delle maree) per costruire impianti costosissimi che servono a produrre pochissima energia e proprio per questo motivo ne dovremmo costruire tantissimi.

Ma io sono solo a gridare in mezzo al deserto. Mentre i demagoghi riempiranno di manifesti le città d'Italia chiedendo agli italiani di evitare che si costruisca una nuova Chernobyl o una nuova Fukushima in Italia.
PRENDERANNO PER IL CULO gli italiani dicendo loro che i pannelli solari sul tetto di casa sono sufficienti (ci vogliono 7,2 metri quadrati di pannelli solari per ogni chilowatt/picco quindi ci vogliono minimo 22 metri quadri per garantirsi un picco di 3 kW).
PRENDERANNO PER IL CULO gli italiani dicendo che una centrale a energia solare o poche turbine eoliche producono la stessa energia di una centrale nucleare, quando in realtà ci vogliono chilometri quadrati di pannelli e turbine per ottenere una produzione paragonabile.
PRENDERANNO PER IL CULO gli italiani facendo loro credere che la ricerca sul fotovoltaico in pochi anni ci farà fare balzi da gigante quando è da decine di anni che non esiste niente di meglio di un pannello fotovoltaico al silicio monocristallino in quanto a resa. Se dice bene ci vorranno altre decine di anni prima di avere delle rese maggiori...
PRENDERANNO PER IL CULO gli italiani facendo credere che le energie rinnovabili possono funzionare a pieno regime come le centrali atomiche o quelle a combustibili fossili quando in realtà se non tira il vento le pale eoliche non girano. Se c'è troppo vento le pale eoliche non girano. Se non c'è il sole il fotovoltaico non funziona. Se ci sono delle ombre sui pannelli fotovoltaici la resa si abbassa di brutto.
PRENDERANNO PER IL CULO gli italiani facendo credere che addirittura con le energie rinnovabili si risparmia quando invece hanno dei costi enormi rispetto alla quantità di energia che producono.

Ma ovviamente tutto questo non conta. Vedremo solo Fukushima e Chernobyl...